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Written by: Inchieste

L’Aquila, non dimenticate il centro storico

L’AQUILA. Il 21 giugno, per la prima volta e solo per poche ore, gruppi ristretti di 60 persone hanno potuto percorrere una piccola parte del centro storico della città. Si tratta dell’ennesimo colpo d’immagine. A distanza di qualche mese dal terremoto che ha brutalmente sfregiato L’Aquila, il silenzio che pesa sul suo destino si fa invece ogni giorno più allarmante. Finora si è lavorato ai nuovi complessi residenziali in 20 aree circostanti lasciando in secondo piano, anzi quasi minimizzandola, la questione della ricostruzione della città, un tema invece cruciale per la cultura architettonica tutta e per i cittadini che, riuniti in comitati anche di tecnici (come il Collettivo 99), reclamano un piano di intervento che riguardi l’intera «zona rossa», oggetto, per ora, solo di operazioni preliminari di messa in sicurezza dei monumenti e di verifiche di stabilità. La richiesta si è fatta ancora più urgente dopo la vicenda poco comprensibile che ha visto la nomina, da parte del sindaco, di un «vigilante» della ricostruzione (quale?): il consigliere comunale scelto, Pierluigi Tancredi, già implicato in vicende giudiziarie nella precedente amministrazione, si è dimesso nel giro di qualche ora proprio su pressione della cittadinanza.
Ma qual era il volto dell’Aquila prima del fatidico 6 aprile? La città è l’esito di circa otto secoli di storia; gli ultimi due le hanno assegnato una forte identità impressa didascalicamente nel suo tessuto: nelle piazze, nelle strade, nelle chiese, nei palazzi, nelle case, e non solo nei monumenti. Infatti, dopo il terremoto del 1703 che aveva cancellato in un colpo la città medievale, la ricostruzione fu l’occasione per un vivace processo di modernizzazione: la chiesa del Suffragio, simbolo di quell’evento, s’ispira al barocco romano, le bifore rimaste vengono inglobate nei nuovi prospetti, le parti non riedificate diventano orti, le macerie colmano fossi e scarpate all’interno della cinta muraria. Sul tracciato medievale vengono riedificati i «quarti», in una struttura urbana così forte e identitaria da assorbire stratificazioni, ibridazioni e inserti fino agli ampliamenti novecenteschi. La città consolidata appare quindi come composizione calibrata di unità edilizie facilmente riconoscibili anche se cresciute spesso per parti nel tempo e, fatto non secondario nell’ottica della ricostruzione, con un assetto proprietario molto frammentato. Questo tessuto appare oggi desolatamente smembrato e mutilato da crolli, ma è solo ripartendo da esso, dal corpo stesso della città, quale memoria condivisa e rete produttiva, che L’Aquila può rinascere riannodando il filo della propria storia recentemente spesso dimenticata, per esempio fondando case, come sta emergendo dalle inchieste, su cumuli di macerie settecentesche. È chiaro che il piano di ricostruzione deve investire l’intero centro attraverso un progetto complesso per la quantità e la qualità edilizia che richiede una gestione «dedicata», che stabilisca strategie e indirizzi scelte metodologiche e progettuali di qualità, evitando una declinazione della storia, a cui una parte della città contemporanea non è stata estranea, fatta di finti muri in pietra, finti colori antichi… Ci si attende, cioè, che si avvii una ragionamento serio e libero da suggestioni mediatiche da cui possa scaturire una proposta pragmatica all’altezza dell’eccezionalità della situazione. Perché i monumenti, quelli della famosa «lista» sottoposta agli ospiti del G8, probabilmente saranno ricostruiti, ma non possiamo correre il rischio di far rinascere la città solo nei suoi simboli, abbandonando a un processo casuale la riedificazione del tessuto urbano, vitale per il suo futuro.

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Last modified: 18 Luglio 2015